Tuesday, May 29, 2007

La questione Allievi/Guolo


Vi inoltro questo messaggio di Diego Abenante, membro del Direttivo di Italindia, sulla questione Stefano Allievi e di Renzo Guolo, due docenti di sociologia dell’islam accusati ingiustamente di aver malfamato l’islam, loro che hanno dedicato un’intera vita al dialogo e all’integrazione della comunità musulmana italiana. Dobbiamo reagire, non chiudere gli occhi, davanti a ingiustizie del genere.

Cari amici, moderatori e iscritti, di Italindia,
Non vi saranno sfuggite, credo, le vicende che nelle ultime settimane hanno riguardato due studiosi, Stefano Allievi e Renzo Guolo, entrambi querelati da Adel Smith, il presidente dell’Umi, per supposta diffamazione ai suoi danni e, nel caso di Guolo, persino di vilipendio della religione islamica. Molti di noi avranno letto, su “La Repubblica” di domenica 27 maggio, l’articolo con cui Guolo ha ricostruito la propria vicenda, un articolo che mi sembra degno di una più ampia riflessione. Nel suo testo, Guolo ha rilevato come la vicenda che lo ha coinvolto, suo malgrado, rimandi ad una questione più generale, concernente il rapporto tra Islam, pubblica opinione ed esercizio dell’attività di ricerca.
Il problema credo possa essere sintetizzato in questo modo: per un complesso di ragioni, legate in parte alla situazione politica internazionale, in parte alla frammentazione dell'autorità religiosa in seno alla comunità musulmana – e dunque alla difficile individuazione di suoi rappresentanti - ed in parte all'uso del "tema Islam" nel dibattito politico nazionale, è oggi diventato particolarmente difficile, per chiunque, esprimere il proprio diritto di critica e di analisi su temi riguardanti l’Islam e, in generale, il rapporto tra mondo musulmano e occidentale. Il rischio nel quale si incorre, paradossalmente, è duplice: vi è quello di essere censurati in nome di una malintesa idea di correttezza politica, una censura che sembra assumere sempre più di frequente le caratteristiche di sanzione giudiziaria; ma vi è anche quello, opposto, di andare incontro all’ostilità di chi nutre simpatie islamiste.
La questione, già per se rilevante, è ancor più grave in quanto, oggi più che mai, è richiesto il contributo dello studioso per aiutare la pubblica opinione ad orientarsi in uno scenario caratterizzato da un’estrema ideologizzazione del fatto religioso e da un dibattito politico-giornalistico di livello spesso poverissimo. In altre parole, non soltanto - come scrive Guolo - le vicende che hanno riguardato i due colleghi rischiano di mettere in discussione le libertà di opinione e di ricerca, entrambe costituzionalmente garantite, scoraggiando altri studiosi dal manifestare pubblicamente la propria opinione, ma fanno ciò proprio in un momento nel quale l’apporto di studiosi competenti, capaci di evidenziare la differenza tra religione e ideologia, tra Islam e Islamismo (e anche di riconoscere la natura "inventata" di alcuni leader musulmani italiani) è più che mai necessario. In questo contesto, l’intervento della magistratura sembra essere caratterizzato da grande approssimazione, e sembra confondere la tutela – necessaria anch’essa - della sensibilità religiosa, con il libero esercizio dell’analisi critica.
Di fronte a questi problemi, le mie riflessioni sono due: le vicende di Allievi e di Guolo non devono far venir meno l’esigenza – direi il dovere – di chi per virtù dei propri studi ha competenza, di aiutare l’opinione pubblica a formarsi un’opinione corretta di ciò che l’Islam è, distinguendo tra realtà e falsificazione. In secondo luogo, sarebbe necessaria una presa di posizione da parte di chi, intellettuali, insegnanti, giornalisti, studenti, ha a cuore la corretta comprensione della cultura islamica, in modo da non lasciare che sul dibattito cali un velo censorio che favorirebbe solo le voci più estremiste. Ovviamente, tutto ciò non può essere realizzato da Italindia, tuttavia forse l’associazione può dare un piccolo contributo d'opinione.
Un caro saluto.
Diego Abenante

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