Monday, May 28, 2007

Bocche scucite


Può capitare che in una comunissima giornata di pioggia e acqua alta si possano capire molte cose. Ad esempio cosa s’intenda col termine “bocche scucite”.
È così che Daniela Yoel, venuta direttamente da Gerusalemme, ci presenta il libro: “Bocche scucite, voci dai territori occupati”, e, attraverso delle diapositive, spiega a noi arabisti/islamisti, e non solo, come sia difficile la vita per i palestinesi.
Tra le varie forme di controllo esercitate dal governo israeliano nei confronti del popolo palestinese vi sono i check point. Questi controlli militari, cui devono sottostare solo i palestinesi, sono molti e distribuiti in tutto il paese: nelle strade, all’entrata di villaggi (impedendone il trasporto di merci con auto), ecc.
Così capita che per visitare i parenti, per recarsi a scuola o al lavoro bisogna chiedere il permesso, e se viene concesso esso non garantisce comunque il superamento del check point.
Innanzitutto i permessi vengono rilasciati solo ed esclusivamente per il passaggio da un preciso check point, spesso capita che chi lo ottenga debba percorrere diversi chilometri dal proprio quartiere. Una volta raggiunto il blocco le persone devono mettersi in coda; l’attesa in media dura una mezza giornata. Se si è sfortunati il check point può chiudere all’improvviso senza alcun preavviso; Se invece i militari israeliani non si annoiano allora iniziano i controlli.
Non solo vengono chiesti i documenti (con il fucile puntato contro), ma le persone vengono spesso umiliate: vengono spogliate, ammanettate e bendate. Questa violenza sui civili disarmati non fa altro che aumentare la mancanza di credibilità nei confronti dell’esercito israeliano.
L’associazione di Daniela Yoel, “Machsom Watch” (dall’ebraico םחסומ Check point Watch), in cui operano solo donne israeliane, s’impegna contro l’occupazione della Palestina e per la resistenza non violenta dei diritti umani del popolo palestinese.
Accusata persino dagli amici e dai familiari di essere “una cattiva ebrea che odia se stessa”, oltre di amare i palestinesi, la Yoel ci spiega che non si tratta di sentimenti, ma di difendere i diritti umani di un popolo, oltre che di proteggere Israele dalla propria politica autodistruttiva, che compie in nome del popolo israeliano.
La Yoel afferma che la convivenza dei due popoli è possibile, le risorse ci sono, si tratta solo di isolare ed emarginare i movimenti estremisti da entrambe le parti. Certo non gioca dalla parte della pace il fatto che i palestinesi non abbiano mai avuto un contatto diretto con gli israeliani, ad eccezione dei militari, ma i due popoli sono in realtà simili e vicini, anche se in realtà non si conoscono.
Dopo sei anni dall’inizio della sua attività la donna afferma l’inutilità dei check point per la reale sicurezza di Israele, e li ritiene dei mezzi coi quali il governo israeliano punisce un popolo che non ha alcuna colpa. Poi critica i militari israeliani, che di giorno puntano i fucili contro i bambini palestinesi e di sera accarezzano i propri figli. Inoltre se la prende con i suoi connazionali che, nonostante godano della libertà d’informazione attraverso i quotidiani, sembra non vogliano informarsi sulla realtà che sta oltre al muro; si tratterebbe di una “falsa coscienza”.
Nandino Capovilla, uno degli autori del libro, ci spiega che tutto ciò che ha presentato Daniela Yoel significa “scucire la bocca” a chi ha nel cuore una sofferenza insostenibile condivisa col suo popolo. Una bocca che parla, che dice che il conflitto deve trovare una via d’uscita.
Continua affermando che purtroppo in Italia i quotidiani nazionali non ci danno una reale conoscenza dei fatti, si limitano a sottovalutare quello che in realtà è un disastro, una tragedia che vivono i palestinesi oggi. Così Capovilla ci invita ad andare oltre queste falsità alimentate dai media e di cercare la verità con coraggio, forza e volontà. Notizie aggiornate quotidianamente si possono trovare su http://www.machsomwatch.org/ e su http://www.kibush.co.il/ . L’autore chiude dicendo che la rabbia per le cose che accadono oggi in Palestina non deve provocare altro odio ma speranza per la pace.
Chiudo riportando la frase che mi ha colpito di più di Daniela Yoel: “Se vedi un’ingiustizia o un’oppressione bisogna reagire, devi fare qualcosa, non chiudere gli occhi”.

2 comments:

Anonymous said...

che dire...finalmente una voce diversa che emerge dal coro,è un segno che ci fa capire come non si debba sempre generalizzare e dividere i due popoli in buoni e cattivi,che ci fa capire che anche dall'altra parte c'è una parte dell'opinione pubblica che critica e rifiuta il comportamento del proprio governo e del proprio esercito. Questo può essere un inizio,ma deve essere supportato fortemente a livello internazionale. E secondo me è proprio questo il problema: il fatto che dalla politica internazionale non arriva un NO forte e deciso a questo conflitto. "Sembra" (o forse in realtà è proprio così)che gli interessi internazionali vadano in direzione opposta a quella della pace, probabilmente ci sono in ballo cose più importanti della sopravvivenza di un popolo o forse di due...

Giovanni said...

Si, hai ragione, l'Unione Europea, a mio avviso l'unica che può fare qualcosa, non interviene in modo concreto. Mi viene da pensare che gli interessi politici siano ben altri...infondo, tanti penseranno, a chi interessa davvero se ci sono dei bambini cui vengono puntati i fucili quotidianamente? A chi interessa se l'odio tra i due popoli aumenta di giorno in giorno? A chi interessa del popolo palestinese così lontano dalla realtà europea?
Giovanni