Saturday, December 22, 2007

L’immigrazione in Italia. Insofferenza tra generalizzazioni e impreparazione culturale


Qui di seguito proverò a rispondere al post scritto da Marco, uno dei miei migliori amici.
Sebbene personalmente non avessi scritto il post in questo modo, esso ci porta comunque a riflettere su questioni a me care. Premetto che nel mio commento non mi soffermerò molto sulla frase che, vista la situazione, è stata pronunciata in un impeto di rabbia, bensì sull'analisi dell’insofferenza che sta dietro a questo episodio.


POST ORIGINALE:

FAVORISCA IL BIGLIETTO

[…] Ero lì, seduto beato che mi sparavo una giusta dose di 4/4, quando entra in carrozza il controllore e tutti noi, gentili signori viaggiatori, estraiamo i nostri abbonamenti/biglietti da esibirgli. Lui però passa avanti, per cui rimetto il portafoglio in tasca. Alzando gli occhi, mi accorgo che la signora che ho di fronte sta sorridendo guardando alle mie spalle. Mi volto e vedo il controllore in piedi che sta parlando con qualcuno che non vedo. Ad un tratto le voci si fanno più forti, tant'è che perfino con le cuffie e la musica ad un discreto volume, sento gridare.

“Io controllo chi mi pare”. Sembra che a parlare sia il controllore.

“No, tu no hai controllato altri” dice il suo interlocutore. “Noi saliti Bologna” aggiunge.

Evidentemente si tratta di persone non italiane.

“Macché, cosa sta dicendo? Se vi ho visti salire qui a Padova” risponde il controllore. “Eravate proprio davanti a me.”

“No, tu controllato solo noi e no altri.”

“Le dico che io faccio quello che mi pare. Se voglio controllare lei, io la controllo.”

“Tu idiota”, prende a gridare il tizio.

Ormai tutta la carrozza sta guardando la scena chiedendosi l'evolvere della situazione.

“Tu idiota” insiste il tipo. “Tu guarda colore pelle. Tu controlla noi perché neri.”

“Ma non dica scemenze” risponde il controllore. “Favorite il biglietto.”

“Idiota!” E il tizio si alza in piedi. E' piuttosto grosso e continua a ripetere “idiota”.

Il controllore, che evidentemente non voleva storie, si arrende e continua la sua camminata verso la coda del treno.

I tre tizi di colore continuano ad inveire contro il dipendente delle Ferrovie, che nel frattempo è sparito nell'altra carrozza.

All'arrivo a Mestre si comincia a scendere e i tizi non mollano con la storia dei biglietti, finché uno di loro mi passa di fianco e dice:

“Italiani bastardi.”

Lascio a voi trarre le conclusioni.


COMMENTO MIO AL POST:

La questione che nasconde questa frase è molto più ampia di un semplice impeto di rabbia. Gli stranieri in Italia si sentono discriminati rispetto agli altri cittadini, e questo è dovuto a vari fattori, tra cui anche l’impreparazione della cittadinanza nell’accogliere gli stranieri, dovuta alla recente presenza degli immigrati. Infatti, nelle ex potenze coloniali, Francia e Gran Bretagna, il flusso migratorio ha preso piede circa 30 anni prima del nostro paese, e ciò ha portato a un maggiore livello del processo di integrazione degli stranieri. Se attualmente in questi paesi, oltre che negli Stati Uniti, i figli degli immigrati, ormai alla terza generazione, hanno raggiunto un progresso nella scala sociale in ambito professionale (università, medicina, magistratura) e amministrativo (uffici statali e ruoli politici), in Italia l’opinione pubblica ha portato a pensare che se un nero sale su un treno, l’ha fatto sicuramente senza pagare il biglietto.

Sono vari i casi di insofferenza in questo senso: dalla volontà di non affittare appartamenti agli stranieri al rifiuto di sedersi vicino a un nero nei mezzi pubblici, sebbene sia l’unico posto disponibile. Tali comportamenti sono riconducibili alla generalizzazione che ci porta a pensare che se uno straniero si è sporcato le mani di sangue, allora tutti gli stranieri sono degli assassini. Vi siete mai chiesti perché se un romeno violenta e uccide una donna l’opinione pubblica si fa prendere dalla psicosi degli stranieri, mentre su un altro romeno si getta in mare per salvare la vita a un bambino sacrificando la propria, non fa notizia?

Quindi, sarebbero proprio la generalizzazione e la relativa recente presenza degli stranieri che ha portato il controllore a chiedere il biglietto solo a quei ragazzi di colore sebbene vi fossero molte persone in quel vagone. Probabilmente l’ha fatto inconsciamente, ma i motivi sono comunque riconducibili a quei principi. Questo lo posso dire con tranquillità perché l’ho vissuto in prima persona in quanto, sebbene sia di passaporto e di cultura italiana, la mia fisionomia non corrisponde a quella di un italiano autoctono. Per questo motivo sono stato fermato più di una volta per esibire “il permesso di soggiorno”, e quale sorpresa per gli agenti quando nei miei documenti leggevano: “cittadinanza italiana”. Situazioni del genere, in cui veniva scelto il sottoscritto nonostante fosse accompagnato da altre persone, sono accadute in vari contesti di controllo o ispezione: negli aeroporti, negli stadi, nei treni, ecc.

A questo punto mi chiedo: perché si tende ad usare come canone di controllo l’aspetto fisico delle persone? Molto probabilmente perché si tratta di una sensibilità legata a istinti primitivi. Ma allora cos’è che ci porta a identificare un nero come uno straniero e un bianco, sebbene non italiano, come non straniero?

In conclusione, quali sarebbero le nostre sensazioni se un giorno la nostra nazionale di calcio esprimesse le sue maggiori qualità con la presenza di calciatori di origine marocchina o albanese? O se ai vertici della politica nazionale ci fossero i nipoti dei “cinesi fabbricatori di oggetti contraffatti”, dei “romeni ladri ed assassini” o delle “filippine colf e badanti”?

Se il primo caso è già realtà per la nazionale francese che vinse il campionato del mondo nel 1998, grazie al capitano di origine berbera algerina che guidava una squadra composta da pochissimi autoctoni, la seconda questione è molto più ardua. Se in una grande democrazia come quella degli Stati Uniti è ancora difficile accettare la presenza di un nero alla Casa bianca, allora l’Italia ha senz’altro una strada ancora molto lunga.


7 comments:

Deezzle said...

Quello che dici tu è senz'altro giusto. Però ho da farti un'obiezione: certo, fa piacere a tutti una società multietnica in cui le persone lavorano, interagiscono e si "scambiano" la loro cultura. Così potremmo imparare moltissimo gli uni dagli altri. Però bisogna stare attenti a non confondere troppo le cose: è inevitabile che persone di diversa etnia, che provengono da parti opposte del mondo, hanno concezioni diverse e mentalità diverse. Una coesistenza non è facile. Dall'altra parte però bisogna dare il giusto peso alle cose: che un immigrato, o un figlio di suo figlio, acceda alle alte cariche politiche, questo non lo trovo giusto. Siamo italiani, così come i francesi sono francesi e i marocchini sono marocchini, eccetera. Non bisogna confondere le cose: noi abbiamo una mentalità diversa sia dai francesi, sia dai marocchini, sia da qualsiasi altro popolo. E' per questo che esistono le nazioni. Ed è per questo che i nostri nonni hanno combattuto e sono morti per darci questa terra. Nella storia, ci sono state un paio di persone che volevano "conquistare il mondo", e tutti noi sappiamo che fine hanno fatto.
Alle fine della fiera la conclusione applicata al mio post era, secondo me: il controllore ha sbagliato a controllare solo loro, e loro hanno sbgliato a non avere il biglietto. La giustizia (o verità, dipende dai punti di vista) sta nel mezzo.
Per concludere, secondo me non è affatto facile né integrare né integrarsi e la soluzione non è certo a portata di mano. Solo dico che dobbiamo tenere presente che qui siamo in Italia e vanno rispettate le nostre regole, così come negli altri paesi dobbiamo rispettare le loro. Il problema è che da noi c'è troppa libertà di agire e tutti se la prendono comoda (anche noi italiani, sia ben chiaro). E appena succede che un immigrato commette qualche "reato" (come non pagare il biglietto) e glielo si fa notare, ecco che scattano le accuse di razzismo. Ma se l'immigrato avesse avuto il biglietto timbrato, magari regolare permesso di soggiorno e un contratto di lavoro, sicuramente il controllore, così come qualsiasi altro italiano, non avrebbe fatto storie.
Come al solito mi sono dilungato fin troppo.

Deezzle said...

Quindi?

Giovanni said...

Quindi sono in tesi, ricomincierò a scrivere nel blog a partire da metà febbraio :P

Deezzle said...

Ah... ADESSO sei in tesi? Mmm...

JaCk said...

quando ti capita... http://www.sullestradelmondo.vivilastminute.it/

Bobbe Mallei said...

Ciao sono Bobbe Mallei e anch'io sono un blog dipendente. Sono passato di qua e ho notato questo articolo che sembrava interessante. Se possibile vorrei paertecipare anche io alla conversazione.
Sono d'accordo con ciò che è stato espresso da deezle, però dire che non si trova giusto che "un immigrato, o un figlio di suo figlio, acceda alle alte cariche politiche" può essere un'affermazione pericolosa, in quanto, dietro a questo pensiero potrebbero celarsi volontà di impedire l'inserimento degli immigrati.
E' vero siamo in Italia e bisogna rispettare le regole del nostro ordinamento, ma non possiamo avere pregiudizi di nessun genere nei confronti di rumeni, albanesi o persone di colore. Nella società moderna stiamo andando in un mondo in cui si favorisce gli spostamenti rapidi e i contatti fra vari popoli. Mi sembra abbastanza "old fashioned" credere ancora al motto "L'Italia agli Italiani"...
Un altro discorso è dire che spesso vengono guardati con un occhio diverso tutti coloro che hanno un aspetto fuori dal comune. Credo sia una reazione del tutto umana, che prescinde dalla nostra volontà. Siamo spinti sempre, a primo impatto con qualcosa di diverso o di nuovo, ad essere diffidenti. Non ci trovo niente di male. Un altro discorso è il perseguitarli o il cercare di farli sentire diversi, impedendo anche la loro integrazione. Spero di essere riuscito a farti capire il mio punto di vista.

Vieni pure sul blog che condivido con altri miei coetanei dell'Università di Pisa "La Sapienza": QUELLI CHE... IL MACCHI, pieno di contenuti interessanti
Ciao, a presto...

Giovanni said...

Caro amico mi trovo d'accordo con te. Probabilmente non bisogna neanche chiamare i figli dei figli degli immigrati dei "marocchini di terza generazione", come si tende a fare in Francia. Ritengo che si tratti piuttosto di francesi a tutti gli effetti, persone di cultura francese, nate in Francia come il resto degli altri. Ho fatto l'esempio della Francia perchè è il modello che potrebbe profilarsi nei prossimi 50 anni in Italia.
Inoltre, non condivido affatto l'idea di Deezzle, in quanto ritengo che le opportunità vadano date a tutti, indipendentemente dalla loro origine. Forse ho capito male quanto hai espresso ma mi sembra che il tuo intervento porti a pensare che forse sarebbe meglio che alle alte cariche del nostro Paese non vi siano le persone di origine straniera in quanto tali. Ma chi può dire di essere italiano autoctono? E poi, cosa vuol dire essere di "etnia italiana", se pensate che realmente esista. Vi invito a rispondere a questa domanda.
L'Italia si configura come un Paese, come un'istituzione, e non come un insieme di persone dells tessa etnia.
Ciò che voglio dire è che da nessuna parte è scritto che un figlio di un Pakistano non può diventare presidente della Repubblica, in quanto questo eventuale provvedimento andrebbe contro i principi dello Stato stesso. Questa cosa può essere paragonata ad esempio, ad un eventuale provvedimento negli Stati Uniti, che preveda al paese di essere rappresentato politicamente solo da persone di pelle bianca, escludendo così gli ispanici e gli afroamericani. Ma che senso avrebbe? Per caso la popolazione americana di bianchi caucasici non è composta soprattutto da persone di origine irlandese, italiana, inglese ecc? In questo senso, ai vertici della politica americana vi sono già degli afroamericani, come in Francia vi sono dei deputati di origine araba e di religione musulmana, e in Gran Bretagna di origine indiana.